Osservare e sentire.
Susanna Tartaro nel suo ultimo libro La non mamma, edito da Einaudi, ci regala un non romanzo, creando un diario di immagini e descrizioni, quasi per sottrazione. L’autrice, appassionata e conoscitrice di haiku, componimenti di poesia giapponese di tre versi, ed esperta di scrittura breve, sa bilanciare benissimo le parole ed il non detto, come accade per certe fotografie, in cui gli spazi bianchi e vuoti vanno, per contrasto, a dare risalto al pieno.
Non a caso azzardiamo un paragone con la fotografia. Avviene nel libro una specie di mescolanza, di promiscuità fra le immagini e le parole: le foto in bianco e nero, con una manciata o a volte una sola parola in calce, non sono una semplice integrazione, ma rappresentano dei veri e propri capitoli, che vanno ad alternarsi a quelli narrativi, a loro volta delle istantanee scattate qua e là da un osservatore molto attento.

“Tu non puoi capire”

La non mamma” può continuare a conoscere il mondo facendo le “ruote”, “facilitata” dalla possibilità di avere uno spazio libero a disposizione e nessun vincolo, “nessuno davanti” e “nessuno alle spalle”, si “vizia” e si educa da sola, “non invecchia” perché la sua vita non viene comparata a quella dei suoi figli; “la non mamma” è tutta la varietà che non sta nella definizione del titolo, anche se di fronte alla maternità viene considerata come una che non può capire cosa rappresentino i figli, né la gratificazione che, come un riscatto sociale, alcune volte se ne trae.
Eppure ci si chiede se esista davvero una linea così demarcatrice che divida il genere umano nella categoria genitori e non genitori, influenzando le loro idee e il loro modo di affrontare e guardare la vita. Pur non dibattendo direttamente il tema della maternità, l’intero libro in qualche maniera ne è permeato, così che alla fine ci si domanda se l’amore, l’interesse e la curiosità che Susanna, la protagonista del libro, riversa agli altri, familiari e sconosciuti, alla propria città, al proprio lavoro, alla vita stessa, non assomigli proprio a quel sentimento di una madre per i figli.
Permettendoci di giocare con l’ironia di cui è intriso il libro, ci piacerebbe far notare che anche Geppetto di Collodi è un “non padre”.

Una “motorinista” a Roma

Susanna è una “motorinista”, fatta di “aria scomposta e di vento”, anche “quando va a piedi”. Una categoria di “supereroi” idealisti sopravvissuti al traffico romano e alla vita, in sella “al sogno” di una “adolescenza finita”, schiacciata fra i millennial in monopattino e “i più vecchi” che tentano il boicottaggio, “sgonfiando le ruote”.
Sfrecciando e rallentando, fra ponti e condomini, costeggiando il Tevere o il Colosseo, la “motorinista”, “agrimensora urbana”, annota panni stesi, luci alle finestre, negozi spariti, suoni e rumori del traffico, tracciando una mappa poetica della Roma che era e di quella che è: una bellezza slabbrata, segnata come gli “occhi bistrati” di certe attrici dei film in bianco e nero, ma sempre piena di fascino per chi ci è nato e conosce ogni sua buca e per chi la visita da turista, in cui l’estate è “un pezzetto di cuore spezzato” e un “pranzo di ferragosto”; le sere trasteverine trasformano i “sampietrini” in “onice” e persino un novembre maledetto “imbroglia” con le sue giornate di sole che splende “idiota” anche sulla morte.

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